martedì 27 luglio 2010

Choose Life




Ci siamo quasi.
la misura è colma.
Così ho deciso di postare nuovamente le poche ma chiare caratteristiche del mio progetto anarchico/sociale DISTOPIA.

Ancora una volta sono a chiedervi: ci serve davvero tutto questo?
La nostra classe politica?
La compilation di culi/tette/cervello a nocciolina in tv?
L'informazione anestetizzata e docile, al soldo del potere?

Provo nausea, disgusto e rabbia.
Per me stesso in primis; come ho potuto lasciare che tutto questo accadesse?
Cosa ho fatto nel mio piccolo per impedire che questa barbarie si verificasse?
Quasi nulla.

Vedete fino a che punto ha avuto successo l'omologazione e la spersonalizzazione.
Ognuno di noi, persino il più combattivo, è disposto a svendere grinta e accuse in cambio di apprezzamenti e notorietà.

Ditemi che non sono il solo ad avvertire un colossale voltafaccia da parte di coloro che dovrebbero rappresentarci.
La politica dovrebbe appartenerci, invece sono riusciti ad espropriarla, ormai è solo Cosa Loro.

Sanno che tra i giovani non serpeggia più il furore anarchico, non arde rabbia sessantottina.
La nostra protesta finisce su Facebook, si esaurisce nelle cuffie nel nostro Ipod.
Siamo soli e facilmente individuabili.

Siamo esclusi dai giochi, il popolo lo è sempre stato, finchè non è pronto a divenire carne da cannone.
Solo a quel punto ci verranno tolti gli ultimi sostentamenti, aizzando poi il nostro risentimento verso il nemico del momento.

Il nemico c'è già, sono Loro.
Politici, industriali, manager rampanti.
Ma come anche quelli bene intenzionati?
Sì.
Forse quelli non verranno passati a fil di lama.

Quando un organo è troppo malato per poter essere curato, va amputato, rimosso.
Chi ci governa è in cancrena ormai. I pochi politici virtuosi (ammesso che ve ne siano) sono del tutto insufficienti.
Come cercare di curare il cancro con il Vicks Vaporub.

Sono convinto che la soluzione sia retrocedere, fare grandi passi indietro.
Falcate a ritroso.
Gruppi di poche persone che si consorziano per empatia e affinità di vedute, che possono ritrovare il senso della produzione, della creazione, anzichè il delirio del consumo.
L'Italia dei Comuni.

Se questo ci verrà impedito, si dovrà combattere.
Violenza nelle strade? Non ne siamo capaci.
Ma violenza senza quartiere in ogni ambito; informazione, politica, arte, letteratura.
Sabotaggi informatici? certo.

Vi lascio nuovamente un regalo: un codificatore creato da un caro amico.
Serve per criptare i testi; inserite il testo da criptare senza spazi, poi generate la chiave della stessa lunghezza.
Senza conoscere la stringa è virtualmente impossibile decifrare il vostro messaggio.

Entrate nella casella: nessunarispostapervenuta@gmail.com
La password è un'antica parola ebraica che indica l'autolimitazione del principio divino.
Troverete un messaggio nella cartella Bozze. L'allegato è il mio piccolo dono.

Ora chiedetemi di rettificare il blog. Ah.


DISTOPIA

Distopia è un modo di pensare, di attraversare il reale.

Distopia è aperta a chiunque, perché da chiunque si può imparare.

Distopia è per lo scambio del sapere e per la libera fruizione di ogni tipo di cultura.

Distopia non riconosce l'autorità degli organismi costituiti, simbolo di un potere che non è rappresentativo.

Distopia desidera riavere indietro la porzione di libertà individuale sacrificata in virtù del patto sociale, che ha dimostrato di essere fallimentare.

Distopia ha perso la fiducia nelle istituzioni ed è convinto che non sia possibile delegare la propria esistenza a faccendieri e portaborse.

Distopia crede nell'autogoverno ma è consapevole che l'essere umano è generalmente incline alla prevaricazione e alla ricerca del potere.

Distopia sfrutta i detentori del potere, perché è da essi sfruttata.

Distopia crede che la spiritualità del singolo sia intoccabile, assolutamente personale e non limitabile fino a che non lede la libertà altrui.

Distopia non crede ad evangelizzazioni o catechizzazioni; la ricerca di una via non può mai essere coercitiva. La scelta va sempre fornita, illustrando le possibilità.

Distopia non predica né odio né violenza, tuttavia sostiene il diritto di autodifesa di ogni persona, contro singoli, organismi statali e militari.

Distopia non muoverà un passo per arrestare l'autodistruzione di questa società.

Distopia non è e mai diverrà un partito, un organismo di controllo o di governo. È semplicemente un'alternativa.

Distopia scredita e disconosce ogni forma di dittatura o di assolutismo.

Al centro di Distopia è posto l'individuo, i suoi bisogni primari e le sue inalienabili necessità.
Tutti i partecipanti a Distopia sanno che nulla è dato per scontato, permanentemente acquisito per diritto di nascita o nepotismo.
A Distopia ogni cosa può essere messa in discussione, criticata, riformata o distrutta nel fertile humus del caos. Persino Distopia stessa.
Non esiste alcuna sacralità intoccabile, né alcun ruolo che garantisca impunità.
Non ci sono ruoli, ma predisposizioni individuali.
Le regole si rendono necessarie per arginare l'entropia, ma non sono immutabili.
Ciò che sta a cuore ai partecipanti di Distopia non è avanzare a tutti i costi verso la verità, ma fare in modo che ogni singolo passo sia giusto.

Distopia appartiene a tutti perché non è di nessuno.

domenica 11 luglio 2010

Final Boarding Call


















- Final boarding call, final boarding call for passenger Mr. Roger Forster, booked on flight 372A to Managua. Please proceed to gate 7 immediately. I repeat. This is the final boarding call for Mr. Roger Forster. Thank you.-


Si stava ancora abbottonando i calzoni, senza fretta. Raccolse la 24 ore di cuoio logoro.
Mentre si avvicinava allo specchio della parete di fondo, indugiò compiaciuto per qualche istante; il grigio gli donava molto, lo smagriva e gli dava un’aria da intellettuale pericoloso, uno di quelli con le stilografiche affilate e la battuta corrosiva.
Si lanciò involontariamente un sorriso d’intesa, prima di notare che da quell’angolazione si vedevano dei piedi nudi, con le unghie smaltate di azzurro. Erano lì, nel cubicolo alle sue spalle.
Si voltò di scatto, la mandibola serrata.
Accostandosi alla porta trattenne il fiato, poi entrò.

"Dannata stronza! Possibile che non ti riesca neppure di stare seduta?"

Una donna svenuta era accasciata accanto al water, la testa penzoloni. Era nuda dalla vita in giù.
Le mani erano legate con del nastro adesivo, all’altezza dei polsi. Quello che rimaneva della sua gonna era appallottolato in un angolo. Nessuna traccia di biancheria intima.

"Che ti prende? Eh? Sei solo una troia…lo sai?"

L’uomo si chinò sul corpo, sbuffando. Lo sollevò di peso e lo mise a sedere sulla tazza. Poggiò la valigia a terra, ed estrasse un rotolo di nastro da pacchi. Cominciò a legare le caviglie della donna intorno alla base del water, prima in modo metodico, poi sempre più furibondo.

"E ora vediamo che cazzo combini ancora!"

Assicurò i polsi già immobilizzati all’appendiabiti, poi accaldato si fermò ad osservare. Prese il mento della donna tra le dita e le alzò la testa.
Gli occhi della ragazza era rovesciati indietro, un filo di saliva le colava da un angolo della bocca.

"Cloroformio mon amour…"

Sghignazzò tra sé; la sua pronuncia francese non era mai migliorata nonostante tutte le chiamate con i fornitori esteri.

"Ecco stronza, sei a posto ora…au revoir…"

Afferrò una vecchia Polaroid dalla borsa, e scattò una foto al corpo svenuto, inquadrando il viso. La mise sul fondo della borsa.
Uscì dal bagno chiudendo accuratamente la porta alle sue spalle, poi spostò il cartello con la scritta “guasto” dalla porta accanto e lo appese alla maniglia.


Roger Forster, 41 anni portati di traverso, barba incolta e occhiali spessi, contabile di scarso estro.
Stupratore seriale.

Aveva cominciato solo da pochi mesi, ma ormai aveva intensificato il suo hobby fino a farlo diventare la sua principale occupazione; il suo istinto per gli affari aveva avuto il sopravvento ed egli era riuscito a far fruttare la sua inclinazione allo squallore.
Stupri su commissione. Univa l’utile al dilettevole, per così dire.

Non potreste neppure immaginare le cose che si incontrano navigando in rete, voglio dire, se uno sa dove cercare, o meglio chi cercare.
Roger passava moltissimo tempo della giornata incollato ad un computer, era sempre stato così.
Il suo lavoro aveva il pregio di poter essere svolto da casa, in collegamento costante con la sede centrale.
Quindi nella penombra del suo studio (teneva sempre gli scuri accostati, odiava la luce del sole), Roger navigava per ore nei siti più strani, soprattutto fanzine di pornografia amatoriale.
Ma qualcosa scattò in lui quando si imbatté in una pagina che mostrava degli stupri. “Brutal Humiliation”, gli aprì un mondo insospettato; in un primo momento non si rese conto che si trattava di finzione, di set ricostruiti in studio. Si masturbò tutto il pomeriggio, fermandosi solo quando ricevette una chiamata dalla sede che attendeva da ore il suo report giornaliero.

Il suo fragile equilibrio emotivo era spezzato; la violenza lo eccitava come nessun'altra cosa prima d'allora.
Le sue pallide esperienze sessuali contavano soltanto una storia adolescenziale e del sesso a pagamento. Non aveva mai saputo come avvicinarsi alle donne.

Dopo alcune settimane di reclusione e ricerca aveva riempito due hard disk con materiale al limite della legalità, ma non era soddisfatto. Era pur sempre finzione, per quanto realistica fosse.
Così decise che doveva provare di persona. Doveva violentare una donna.

Impiegò quasi un mese a decidersi, ed ogni sera provava davanti allo specchio, come un attore agitato prima del debutto. Alla fine decise cosa indossare, un trench alla tenente Colombo, con il bavero alto, calzoni elastici e scarpe da ginnastica.

Uscì di casa dopo le 2, un venerdì sera. Prese la vecchia auto di sua madre e guidò fino alla zona dei club. Aveva intenzione di aspettare la chiusura dei locali, quando uno sciame di fanciulle ubriache e frastornate si sarebbe riversato nei parcheggi circostanti alla ricerca del proprio mezzo di trasporto.
Lasciò in auto il trench, nascose nel cruscotto il taglierino ed il passamontagna, poi si diresse al camion dei panini che stazionava tutta la notte davanti alle discoteche.
Si appollaiò sullo sgabello e cominciò ad trangugiare vodka e Red Bull, non voleva mica fare cilecca al suo primo...appuntamento.

Verso le 4 localizzò la sua vittima. Era una ragazza sola, sui 20 anni. Era uscita dal locale urlando qualcosa alle sue spalle, probabilmente aveva litigato con qualcuno; era chiaramente ubriaca.

Senza dare troppo nell'occhio Roger pagò l'ultimo drink, si allontanò nella direzione opposta con l'intenzione di fare il giro dell'isolato.
Appena svoltato l'angolo cominciò a correre per evitare che la ragazza raggiungesse il parcheggio indisturbata. Riuscì a salire in auto, la mise in moto con i fari spenti. Si infilò la calza sulla testa mentre il battito del cuore lo assordava.
Si avvicinò a passo d'uomo, svoltando nel sottopassaggio che la donna era obbligata ad attraversare per raggiungere il parcheggio.

La ragazza barcollava e cercava di scrivere un sms a chissà chi, non si accorse dell'auto alla sua sinistra, con il finestrino abbassato. Roger accelerò di scatto e le tagliò la strada, poi si lanciò fuori con il taglierino in mano per sbarrare la via di fuga. L'adrenalina gli dava un'agilità che non ricordava di aver mai posseduto.

La ragazza spalancò gli occhi e la bocca, come un animale abbagliato dai fari di una jeep poco prima dell'impatto. Non riuscì ad urlare, Roger le mise una mano sulla bocca e le puntò la lama alla gola.

Udì sé stesso dal fondo di una boccia per i pesci, ovattato e distante:

"Ora farai la brava, devi fare quello che voglio io, se non vuoi che ti tagli qualcosa, ok? Hai capito? HAI CAPITO? Fai di sì con la testa...brava."

La spinse in auto, la ficcò in bocca uno straccio che fissò con del nastro, le legò i polsi dietro la schiena.
Proprio come si immaginava, solo cento, mille volte più intenso; la minacciò con il taglierino, mentre le strappava di dosso camicia e shorts. Si sentiva Dio, si nutriva del terrore negli occhi della ragazza, voleva il suo dolore. Venne quasi subito, mentre assaggiava il sapore salato delle sue lacrime.

"È stato bello per te come per me?...sì vero? Lo sentivo che ti piaceva..."

La donna singhiozzava senza interruzione, gli occhi stretti per scacciare il male, che ormai era dentro di lei per sempre.

Roger la spinse fuori in malo modo, tenendosi la borsetta. Poi ripartì sgommando mentre lei si accasciava contro il muro.
Era fatta! Incredibile, c'era riuscito. Sentiva l'eccitazione defluire rapidamente da lui, con un capogiro.
Guardò nel sedile accanto; la borsetta.

"Ragiona Roger, non fare cazzate, è così che ti beccano..."

Accostò accanto al parapetto del ponte; sotto il fiume scorreva limaccioso nella pallida luce dell'alba.
Aprì il telefono, gettò prima la batteria, poi la scheda, infine lasciò cadere anche la borsetta.
Un porcellino rosa occhieggiò un'ultima volta prima di annegare.

Da allora aveva “liberato” molte donne (lo chiamava così, la Liberazione). Si era specializzato nei parcheggi sotterranei, il suo modus operandi era sempre lo stesso, ma recentemente aveva scoperto l'uso dei narcotici; una pezza imbevuta di cloroformio otteneva risultati incredibili. Aveva dovuto fare qualche tentativo per azzeccare il dosaggio; non voleva che rimanessero incoscienti per troppo tempo, adorava l'espressione di terrore che si dipingeva sul loro volto quando rinvenivano con lui dentro.

Questa sua attività notturna aveva iniziato a incidere negativamente sulle sue prestazioni lavorative, rischiava di essere licenziato. Così una sera ebbe l'illuminazione, quasi un'epifania; stupri su commissione!
Ormai era piuttosto abile, perché non mettere a frutto questa propensione?

Roger non era intelligente, ma era astuto e paziente. Cominciò a frequentare i forum BDSM, cercando sempre i più estremi, avendo cura di proteggere il suo indirizzo IP con programmi scudo.
Cominciò a fare domande, comprese che esisteva un gergo speciale, una specie di codice. Niente più “Liberazione”, ma “Punizione”.



Rose meriterebbe proprio una bella punizione.
Già, quella stronza mi ha fottuto. Andrebbe punita.
Posso farlo io.
Come?
Posso...punirla per te.
Che cazzo dici?
...io posso punirla per te, se tu lo vuoi.
Intendi dire che puoi...
posso punirla.
Amico, tu devi essere pazzo...che ti sei calato?
Sono serio, posso punirla al posto tuo, tu rimarresti pulito e lei avrebbe quello che si merita.
Dici davvero? Non sei un tossico flippato?
No, sono qualcuno che potrebbe risolvere il tuo problema.
...quanto potrebbe...costare?
$ 4.000

Sono un professionista, non verresti mai coinvolto, te lo garantisco.
Ma non la...voglio dire...
Ho solo detto che la punirò.
$ 4.000?
Corretto, in contanti, nella cassetta di sicurezza 465, stazione di Waxridge, insieme ad una foto della stronza.
Come posso sapere che lo farai sul serio, che non mi stai fregando?
Ti devi fidare. Tra quattro giorni torna alla cassetta, non resterai deluso.



Pensava si trattasse solo di una spacconata, ma era soddisfatto di come aveva condotto la trattativa, non pensava che avrebbero accettato, ma $ 4.000 erano più di due mesi di stipendio, per fare qualcosa che avrebbe fatto ugualmente, gratis. Doveva solo concentrarsi su Rose.
Due giorni dopo attraversò la città quasi per gioco, fino a Waxridge, aveva scelto il punto più lontano da casa sua, per prudenza.

C'erano davvero, i maledetti soldi erano lì e anche la foto della troia. Controllando a stento l'emozione si infilò in tasca la busta, richiuse la cassetta portando con sé la chiave.
Nel cappotto il peso di quei soldi lo rendeva reale, gli conferiva un supplemento di sicurezza. Qualcuno lo stava pagando per fottere.

Accostò l'auto nella piazzola di sosta di un benzinaio chiuso, e aprì la busta. Contò i soldi, due volte. Erano $ 3.000, brutto stronzo. Guardò la foto; Rose era una bella donna, sulla trentina, lunghi capelli ramati, sguardo sfrontato.
"Cazzo, lo faccio di sicuro. Ti toglierò quel sorriso dalla faccia, Rose".
Sul retro della foto c'era il nome di un locale, scritto a macchina: << Tiger Six, la stronza passa lì tutte le sere. I $ 1.000 che mancano li avrai quando sarò sicuro che l'hai punita>>.

Ok, Roger era abituato alle contrattazioni, era il suo lavoro far quadrare i conti.
Andiamo.
Decise di non aspettare, ormai girava con i ferri del mestiere in auto, in una sacca da palestra nel bagagliaio.
Passò a casa, corse nella vecchia stanza di mamma, frugò nell'armadio e ne emerse trionfante con una vecchia Polaroid, controllò che funzionasse ancora e se la mise al collo.

Poche ore dopo era appostato nel parcheggio del Tiger Six, una discoteca di tendenza per trentenni alla moda.
Rose uscì con un tizio, lui le teneva un braccio intorno alla vita.

"Merda!"

La coppia salì in auto, lui alla guida. Roger decise di seguirli comunque.
Si diressero verso la periferia, la zona povera della città, dalle parti di Radville.

"Bella macchina amico. Pessima idea venire da queste parti, come minimo la troverai su quattro ceppi".

Accostarono, lui mise la freccia dalla parte opposta, fece una svolta e parcheggiò nella strada accanto, in modo da poter osservare la scena da lontano.
L'uomo scese, aprì la portiera di Rose, poteva sentirla ridere da dove si trovava.

Si scambiarono qualche parola, che Roger indovinò: "Grazie della splendida serata...figurati...pensi che potrei salire per un drink...non penso sia il caso...ma ti rivedrò...certo, sciocco...baci baci".

"Stupida, stupida RosRosina, questa volta avresti fatto meglio a far salire questo uomo galante, che sta cercando di infilarsi nel letto con te. Perché lui si sarebbe fermato se tu lo avessi chiesto.
Io no."

Uscì di fretta dall'auto, con la borsa a tracolla, un cappello da baseball calato sugli occhi. Sembrava un passante affrettato alla ricerca di un taxi.
Attraversò la strada, portandosi sul lato dell'abitazione di Rose, proprio mentre il manzo metteva in moto la sua bella auto sportiva e sgommava per andarsene. Orgoglio maschile ferito.

Rose stava aprendo il portone, in cima a quattro scalini di granito. Roger attese che avesse girato la chiave, prima di balzarle alle spalle.
"Mike, che scherzi del cazz..."
Non riuscì a completare la frase, lo straccio imbevuto di cloroformio vinse ogni resistenza.
Spingendo con il piede sull'uscio trascinò il corpo all'interno, la adagiò sul tappeto dell'entrata e chiuse la porta a chiave.
L'appartamento era semi vuoto, scatoloni ovunque. Quasi nessun mobile. Probabilmente Rose si era appena trasferita qui.
Perfetto, nessun vicino premuroso che controlla o bussa nel cuore della notte.

"A noi due RosRosina"


Due giorni dopo era in auto, davanti alla stazione di Waxridge, in attesa.
Quando l'ora di punta era passata da un pezzo, si diresse alle cassette di sicurezza.
I soldi erano lì, e tutte le polaroid di Rose erano sparite. Rimpianse di non averne tenuta una per ricordo.

Così era cominciato tutto, e il suo lavoro aveva attratto le menti più deboli e deviate di tutta la rete.
Ora aveva un sistema più sicuro per accettare gli incarichi; un sito porno fasullo, regolarmente registrato, realizzato con filmati riciclati da altri siti sconosciuti. Niente di che, una semplice copertura, pornografia classica, neppure l'ombra di sesso estremo. Lui figurava come un ardito pony express che consegnava pizze a domicilio ad avvenenti casalinghe frustrate. Ma cliccando su una delle borchie che decoravano il banner si apriva un forum riservato, al quale si poteva accedere solo previa registrazione. Ed era lì che lui sondava il terreno, come un grosso ragno in attesa delle prede, rintanato nell'angolo più scuro.


L'aeroporto era l'ultimo incarico, aveva deciso di piantarla per un po', per far sbollire l'attenzione dell'opinione pubblica.
È vero, in città c'erano sempre stati furti, omicidi e stupri, ma da quando era entrato in attività la polizia aveva cominciato a sospettare che ci fosse un collegamento tra i suoi lavoretti.

Inoltre aveva messo da parte un bel po' di soldi, voleva partire per l'America Latina, stabilirsi in un villaggio poverissimo, dove con i suoi guadagni avrebbe potuto corrompere la polizia locale con qualche cospicua donazione, in modo da mettere a tacere eventuali sospetti scomodi sul suo passatempo.
Aveva un debole per le ragazze latine.

Quindi eccolo qui, nel bagno dell'aeroporto di San Fernando, pronto a decollare verso la sua nuova vita.
È andato tutto a meraviglia, è stata persino un'ottima scopata anche se stavolta per timore di essere scoperto aveva esagerato un po' con il narcotico.
La stronza avrebbe dormito fino al giorno dopo.

- Final boarding call, final boarding call for passenger Mr. Roger Forster, booked on flight 372A to Managua. Please proceed to gate 7 immediately. I repeat...

"Arrivo, arrivo, vale la pena aspettarmi ve l'assicuro..."
Uscì di fretta, accelerando il passo.
"Dannati paesi sottosviluppati, un solo bagno in comune, selvaggi..."

Una coppia di poliziotti incrociò il suo sguardo; era abbastanza raro incontrare qualcuno con il suo aspetto a quella latitudine, sperò che non gli facessero alcuna domanda. Abbozzò un sorriso e tirò dritto.
Trattenne il fiato, mentre sentiva i due parlottare a mezza voce nel loro idioma incomprensibile.

Uno di loro scoppiò a ridere, e la tensione gli scivolò via dalle spalle.
Così non si girò a guardare il poliziotto mentre finiva la sua birra, dirigendosi verso la toilette.

Davanti a lui c'erano solo due persone, era quasi arrivato al cancello d'imbarco, sentiva già il sole che lo aspettava, un margarita daiquiri e un intero villaggio di donne indifese e polizia compiacente.

"HOMBRE!!! HOMBRE!!!"

Si voltò. Uno dei due ufficiali stava camminando a passo spedito verso di lui.

"È finita, l'hanno trovata, sono fottuto, è finita, merda merda."
Le gambe gli divennero di gesso, era incapace di continuare a camminare, semplicemente fissava la guardia con un'espressione assente, come se avessero staccato la spina del suo cervello.
Attendeva la fine.

"Hombre! Pardoname.."
il poliziotto parlò in un inglese stentato.

"Tu eres, tu è Roger?"
"Sì, Roger Forster, perchè?"
La voce sembrava uscire dagli altoparlanti anziché dalla sua bocca.

"Tu è quel Roger? M.I.L.F. Hot Pizza?"
Il poliziotto mimò un gesto sconcio, poi indicò la Polaroid al collo di Roger.
"Puede una foto con tigo? Tuo sito es muy bieno, mucho gusto, molte belle ...topone!!!"
Scoppiò a ridere gettando una zaffata di alcool e fumo stantio verso di lui.

Roger non si scompose, poggiò a terra la valigia, impugnò la macchina fotografica e si lasciò stringere in un abbraccio dal poliziotto che continuava a sorridere esageratamente.

"Muchas gracias senor, lei è bravo, continua con le pizze!!!"

Roger strinse la mano dell'ufficiale, poi raccolse la valigia e raggiunse il gate.

La hostess aveva visto la scena, lo guardò sospettosa, poi gli chiese:
"Signor Forster? Lei è famoso? Dovrei conoscerla?"

Lui sorrise appena, guardando la scollatura imperlata di sudore:
"Forse sì, forse no..."

Sorseggiando il suo drink, distese le gambe mentre le grandi ali nere deturpavano il nitore del cielo estivo.