martedì 27 luglio 2010

Choose Life




Ci siamo quasi.
la misura è colma.
Così ho deciso di postare nuovamente le poche ma chiare caratteristiche del mio progetto anarchico/sociale DISTOPIA.

Ancora una volta sono a chiedervi: ci serve davvero tutto questo?
La nostra classe politica?
La compilation di culi/tette/cervello a nocciolina in tv?
L'informazione anestetizzata e docile, al soldo del potere?

Provo nausea, disgusto e rabbia.
Per me stesso in primis; come ho potuto lasciare che tutto questo accadesse?
Cosa ho fatto nel mio piccolo per impedire che questa barbarie si verificasse?
Quasi nulla.

Vedete fino a che punto ha avuto successo l'omologazione e la spersonalizzazione.
Ognuno di noi, persino il più combattivo, è disposto a svendere grinta e accuse in cambio di apprezzamenti e notorietà.

Ditemi che non sono il solo ad avvertire un colossale voltafaccia da parte di coloro che dovrebbero rappresentarci.
La politica dovrebbe appartenerci, invece sono riusciti ad espropriarla, ormai è solo Cosa Loro.

Sanno che tra i giovani non serpeggia più il furore anarchico, non arde rabbia sessantottina.
La nostra protesta finisce su Facebook, si esaurisce nelle cuffie nel nostro Ipod.
Siamo soli e facilmente individuabili.

Siamo esclusi dai giochi, il popolo lo è sempre stato, finchè non è pronto a divenire carne da cannone.
Solo a quel punto ci verranno tolti gli ultimi sostentamenti, aizzando poi il nostro risentimento verso il nemico del momento.

Il nemico c'è già, sono Loro.
Politici, industriali, manager rampanti.
Ma come anche quelli bene intenzionati?
Sì.
Forse quelli non verranno passati a fil di lama.

Quando un organo è troppo malato per poter essere curato, va amputato, rimosso.
Chi ci governa è in cancrena ormai. I pochi politici virtuosi (ammesso che ve ne siano) sono del tutto insufficienti.
Come cercare di curare il cancro con il Vicks Vaporub.

Sono convinto che la soluzione sia retrocedere, fare grandi passi indietro.
Falcate a ritroso.
Gruppi di poche persone che si consorziano per empatia e affinità di vedute, che possono ritrovare il senso della produzione, della creazione, anzichè il delirio del consumo.
L'Italia dei Comuni.

Se questo ci verrà impedito, si dovrà combattere.
Violenza nelle strade? Non ne siamo capaci.
Ma violenza senza quartiere in ogni ambito; informazione, politica, arte, letteratura.
Sabotaggi informatici? certo.

Vi lascio nuovamente un regalo: un codificatore creato da un caro amico.
Serve per criptare i testi; inserite il testo da criptare senza spazi, poi generate la chiave della stessa lunghezza.
Senza conoscere la stringa è virtualmente impossibile decifrare il vostro messaggio.

Entrate nella casella: nessunarispostapervenuta@gmail.com
La password è un'antica parola ebraica che indica l'autolimitazione del principio divino.
Troverete un messaggio nella cartella Bozze. L'allegato è il mio piccolo dono.

Ora chiedetemi di rettificare il blog. Ah.


DISTOPIA

Distopia è un modo di pensare, di attraversare il reale.

Distopia è aperta a chiunque, perché da chiunque si può imparare.

Distopia è per lo scambio del sapere e per la libera fruizione di ogni tipo di cultura.

Distopia non riconosce l'autorità degli organismi costituiti, simbolo di un potere che non è rappresentativo.

Distopia desidera riavere indietro la porzione di libertà individuale sacrificata in virtù del patto sociale, che ha dimostrato di essere fallimentare.

Distopia ha perso la fiducia nelle istituzioni ed è convinto che non sia possibile delegare la propria esistenza a faccendieri e portaborse.

Distopia crede nell'autogoverno ma è consapevole che l'essere umano è generalmente incline alla prevaricazione e alla ricerca del potere.

Distopia sfrutta i detentori del potere, perché è da essi sfruttata.

Distopia crede che la spiritualità del singolo sia intoccabile, assolutamente personale e non limitabile fino a che non lede la libertà altrui.

Distopia non crede ad evangelizzazioni o catechizzazioni; la ricerca di una via non può mai essere coercitiva. La scelta va sempre fornita, illustrando le possibilità.

Distopia non predica né odio né violenza, tuttavia sostiene il diritto di autodifesa di ogni persona, contro singoli, organismi statali e militari.

Distopia non muoverà un passo per arrestare l'autodistruzione di questa società.

Distopia non è e mai diverrà un partito, un organismo di controllo o di governo. È semplicemente un'alternativa.

Distopia scredita e disconosce ogni forma di dittatura o di assolutismo.

Al centro di Distopia è posto l'individuo, i suoi bisogni primari e le sue inalienabili necessità.
Tutti i partecipanti a Distopia sanno che nulla è dato per scontato, permanentemente acquisito per diritto di nascita o nepotismo.
A Distopia ogni cosa può essere messa in discussione, criticata, riformata o distrutta nel fertile humus del caos. Persino Distopia stessa.
Non esiste alcuna sacralità intoccabile, né alcun ruolo che garantisca impunità.
Non ci sono ruoli, ma predisposizioni individuali.
Le regole si rendono necessarie per arginare l'entropia, ma non sono immutabili.
Ciò che sta a cuore ai partecipanti di Distopia non è avanzare a tutti i costi verso la verità, ma fare in modo che ogni singolo passo sia giusto.

Distopia appartiene a tutti perché non è di nessuno.

domenica 11 luglio 2010

Final Boarding Call


















- Final boarding call, final boarding call for passenger Mr. Roger Forster, booked on flight 372A to Managua. Please proceed to gate 7 immediately. I repeat. This is the final boarding call for Mr. Roger Forster. Thank you.-


Si stava ancora abbottonando i calzoni, senza fretta. Raccolse la 24 ore di cuoio logoro.
Mentre si avvicinava allo specchio della parete di fondo, indugiò compiaciuto per qualche istante; il grigio gli donava molto, lo smagriva e gli dava un’aria da intellettuale pericoloso, uno di quelli con le stilografiche affilate e la battuta corrosiva.
Si lanciò involontariamente un sorriso d’intesa, prima di notare che da quell’angolazione si vedevano dei piedi nudi, con le unghie smaltate di azzurro. Erano lì, nel cubicolo alle sue spalle.
Si voltò di scatto, la mandibola serrata.
Accostandosi alla porta trattenne il fiato, poi entrò.

"Dannata stronza! Possibile che non ti riesca neppure di stare seduta?"

Una donna svenuta era accasciata accanto al water, la testa penzoloni. Era nuda dalla vita in giù.
Le mani erano legate con del nastro adesivo, all’altezza dei polsi. Quello che rimaneva della sua gonna era appallottolato in un angolo. Nessuna traccia di biancheria intima.

"Che ti prende? Eh? Sei solo una troia…lo sai?"

L’uomo si chinò sul corpo, sbuffando. Lo sollevò di peso e lo mise a sedere sulla tazza. Poggiò la valigia a terra, ed estrasse un rotolo di nastro da pacchi. Cominciò a legare le caviglie della donna intorno alla base del water, prima in modo metodico, poi sempre più furibondo.

"E ora vediamo che cazzo combini ancora!"

Assicurò i polsi già immobilizzati all’appendiabiti, poi accaldato si fermò ad osservare. Prese il mento della donna tra le dita e le alzò la testa.
Gli occhi della ragazza era rovesciati indietro, un filo di saliva le colava da un angolo della bocca.

"Cloroformio mon amour…"

Sghignazzò tra sé; la sua pronuncia francese non era mai migliorata nonostante tutte le chiamate con i fornitori esteri.

"Ecco stronza, sei a posto ora…au revoir…"

Afferrò una vecchia Polaroid dalla borsa, e scattò una foto al corpo svenuto, inquadrando il viso. La mise sul fondo della borsa.
Uscì dal bagno chiudendo accuratamente la porta alle sue spalle, poi spostò il cartello con la scritta “guasto” dalla porta accanto e lo appese alla maniglia.


Roger Forster, 41 anni portati di traverso, barba incolta e occhiali spessi, contabile di scarso estro.
Stupratore seriale.

Aveva cominciato solo da pochi mesi, ma ormai aveva intensificato il suo hobby fino a farlo diventare la sua principale occupazione; il suo istinto per gli affari aveva avuto il sopravvento ed egli era riuscito a far fruttare la sua inclinazione allo squallore.
Stupri su commissione. Univa l’utile al dilettevole, per così dire.

Non potreste neppure immaginare le cose che si incontrano navigando in rete, voglio dire, se uno sa dove cercare, o meglio chi cercare.
Roger passava moltissimo tempo della giornata incollato ad un computer, era sempre stato così.
Il suo lavoro aveva il pregio di poter essere svolto da casa, in collegamento costante con la sede centrale.
Quindi nella penombra del suo studio (teneva sempre gli scuri accostati, odiava la luce del sole), Roger navigava per ore nei siti più strani, soprattutto fanzine di pornografia amatoriale.
Ma qualcosa scattò in lui quando si imbatté in una pagina che mostrava degli stupri. “Brutal Humiliation”, gli aprì un mondo insospettato; in un primo momento non si rese conto che si trattava di finzione, di set ricostruiti in studio. Si masturbò tutto il pomeriggio, fermandosi solo quando ricevette una chiamata dalla sede che attendeva da ore il suo report giornaliero.

Il suo fragile equilibrio emotivo era spezzato; la violenza lo eccitava come nessun'altra cosa prima d'allora.
Le sue pallide esperienze sessuali contavano soltanto una storia adolescenziale e del sesso a pagamento. Non aveva mai saputo come avvicinarsi alle donne.

Dopo alcune settimane di reclusione e ricerca aveva riempito due hard disk con materiale al limite della legalità, ma non era soddisfatto. Era pur sempre finzione, per quanto realistica fosse.
Così decise che doveva provare di persona. Doveva violentare una donna.

Impiegò quasi un mese a decidersi, ed ogni sera provava davanti allo specchio, come un attore agitato prima del debutto. Alla fine decise cosa indossare, un trench alla tenente Colombo, con il bavero alto, calzoni elastici e scarpe da ginnastica.

Uscì di casa dopo le 2, un venerdì sera. Prese la vecchia auto di sua madre e guidò fino alla zona dei club. Aveva intenzione di aspettare la chiusura dei locali, quando uno sciame di fanciulle ubriache e frastornate si sarebbe riversato nei parcheggi circostanti alla ricerca del proprio mezzo di trasporto.
Lasciò in auto il trench, nascose nel cruscotto il taglierino ed il passamontagna, poi si diresse al camion dei panini che stazionava tutta la notte davanti alle discoteche.
Si appollaiò sullo sgabello e cominciò ad trangugiare vodka e Red Bull, non voleva mica fare cilecca al suo primo...appuntamento.

Verso le 4 localizzò la sua vittima. Era una ragazza sola, sui 20 anni. Era uscita dal locale urlando qualcosa alle sue spalle, probabilmente aveva litigato con qualcuno; era chiaramente ubriaca.

Senza dare troppo nell'occhio Roger pagò l'ultimo drink, si allontanò nella direzione opposta con l'intenzione di fare il giro dell'isolato.
Appena svoltato l'angolo cominciò a correre per evitare che la ragazza raggiungesse il parcheggio indisturbata. Riuscì a salire in auto, la mise in moto con i fari spenti. Si infilò la calza sulla testa mentre il battito del cuore lo assordava.
Si avvicinò a passo d'uomo, svoltando nel sottopassaggio che la donna era obbligata ad attraversare per raggiungere il parcheggio.

La ragazza barcollava e cercava di scrivere un sms a chissà chi, non si accorse dell'auto alla sua sinistra, con il finestrino abbassato. Roger accelerò di scatto e le tagliò la strada, poi si lanciò fuori con il taglierino in mano per sbarrare la via di fuga. L'adrenalina gli dava un'agilità che non ricordava di aver mai posseduto.

La ragazza spalancò gli occhi e la bocca, come un animale abbagliato dai fari di una jeep poco prima dell'impatto. Non riuscì ad urlare, Roger le mise una mano sulla bocca e le puntò la lama alla gola.

Udì sé stesso dal fondo di una boccia per i pesci, ovattato e distante:

"Ora farai la brava, devi fare quello che voglio io, se non vuoi che ti tagli qualcosa, ok? Hai capito? HAI CAPITO? Fai di sì con la testa...brava."

La spinse in auto, la ficcò in bocca uno straccio che fissò con del nastro, le legò i polsi dietro la schiena.
Proprio come si immaginava, solo cento, mille volte più intenso; la minacciò con il taglierino, mentre le strappava di dosso camicia e shorts. Si sentiva Dio, si nutriva del terrore negli occhi della ragazza, voleva il suo dolore. Venne quasi subito, mentre assaggiava il sapore salato delle sue lacrime.

"È stato bello per te come per me?...sì vero? Lo sentivo che ti piaceva..."

La donna singhiozzava senza interruzione, gli occhi stretti per scacciare il male, che ormai era dentro di lei per sempre.

Roger la spinse fuori in malo modo, tenendosi la borsetta. Poi ripartì sgommando mentre lei si accasciava contro il muro.
Era fatta! Incredibile, c'era riuscito. Sentiva l'eccitazione defluire rapidamente da lui, con un capogiro.
Guardò nel sedile accanto; la borsetta.

"Ragiona Roger, non fare cazzate, è così che ti beccano..."

Accostò accanto al parapetto del ponte; sotto il fiume scorreva limaccioso nella pallida luce dell'alba.
Aprì il telefono, gettò prima la batteria, poi la scheda, infine lasciò cadere anche la borsetta.
Un porcellino rosa occhieggiò un'ultima volta prima di annegare.

Da allora aveva “liberato” molte donne (lo chiamava così, la Liberazione). Si era specializzato nei parcheggi sotterranei, il suo modus operandi era sempre lo stesso, ma recentemente aveva scoperto l'uso dei narcotici; una pezza imbevuta di cloroformio otteneva risultati incredibili. Aveva dovuto fare qualche tentativo per azzeccare il dosaggio; non voleva che rimanessero incoscienti per troppo tempo, adorava l'espressione di terrore che si dipingeva sul loro volto quando rinvenivano con lui dentro.

Questa sua attività notturna aveva iniziato a incidere negativamente sulle sue prestazioni lavorative, rischiava di essere licenziato. Così una sera ebbe l'illuminazione, quasi un'epifania; stupri su commissione!
Ormai era piuttosto abile, perché non mettere a frutto questa propensione?

Roger non era intelligente, ma era astuto e paziente. Cominciò a frequentare i forum BDSM, cercando sempre i più estremi, avendo cura di proteggere il suo indirizzo IP con programmi scudo.
Cominciò a fare domande, comprese che esisteva un gergo speciale, una specie di codice. Niente più “Liberazione”, ma “Punizione”.



Rose meriterebbe proprio una bella punizione.
Già, quella stronza mi ha fottuto. Andrebbe punita.
Posso farlo io.
Come?
Posso...punirla per te.
Che cazzo dici?
...io posso punirla per te, se tu lo vuoi.
Intendi dire che puoi...
posso punirla.
Amico, tu devi essere pazzo...che ti sei calato?
Sono serio, posso punirla al posto tuo, tu rimarresti pulito e lei avrebbe quello che si merita.
Dici davvero? Non sei un tossico flippato?
No, sono qualcuno che potrebbe risolvere il tuo problema.
...quanto potrebbe...costare?
$ 4.000

Sono un professionista, non verresti mai coinvolto, te lo garantisco.
Ma non la...voglio dire...
Ho solo detto che la punirò.
$ 4.000?
Corretto, in contanti, nella cassetta di sicurezza 465, stazione di Waxridge, insieme ad una foto della stronza.
Come posso sapere che lo farai sul serio, che non mi stai fregando?
Ti devi fidare. Tra quattro giorni torna alla cassetta, non resterai deluso.



Pensava si trattasse solo di una spacconata, ma era soddisfatto di come aveva condotto la trattativa, non pensava che avrebbero accettato, ma $ 4.000 erano più di due mesi di stipendio, per fare qualcosa che avrebbe fatto ugualmente, gratis. Doveva solo concentrarsi su Rose.
Due giorni dopo attraversò la città quasi per gioco, fino a Waxridge, aveva scelto il punto più lontano da casa sua, per prudenza.

C'erano davvero, i maledetti soldi erano lì e anche la foto della troia. Controllando a stento l'emozione si infilò in tasca la busta, richiuse la cassetta portando con sé la chiave.
Nel cappotto il peso di quei soldi lo rendeva reale, gli conferiva un supplemento di sicurezza. Qualcuno lo stava pagando per fottere.

Accostò l'auto nella piazzola di sosta di un benzinaio chiuso, e aprì la busta. Contò i soldi, due volte. Erano $ 3.000, brutto stronzo. Guardò la foto; Rose era una bella donna, sulla trentina, lunghi capelli ramati, sguardo sfrontato.
"Cazzo, lo faccio di sicuro. Ti toglierò quel sorriso dalla faccia, Rose".
Sul retro della foto c'era il nome di un locale, scritto a macchina: << Tiger Six, la stronza passa lì tutte le sere. I $ 1.000 che mancano li avrai quando sarò sicuro che l'hai punita>>.

Ok, Roger era abituato alle contrattazioni, era il suo lavoro far quadrare i conti.
Andiamo.
Decise di non aspettare, ormai girava con i ferri del mestiere in auto, in una sacca da palestra nel bagagliaio.
Passò a casa, corse nella vecchia stanza di mamma, frugò nell'armadio e ne emerse trionfante con una vecchia Polaroid, controllò che funzionasse ancora e se la mise al collo.

Poche ore dopo era appostato nel parcheggio del Tiger Six, una discoteca di tendenza per trentenni alla moda.
Rose uscì con un tizio, lui le teneva un braccio intorno alla vita.

"Merda!"

La coppia salì in auto, lui alla guida. Roger decise di seguirli comunque.
Si diressero verso la periferia, la zona povera della città, dalle parti di Radville.

"Bella macchina amico. Pessima idea venire da queste parti, come minimo la troverai su quattro ceppi".

Accostarono, lui mise la freccia dalla parte opposta, fece una svolta e parcheggiò nella strada accanto, in modo da poter osservare la scena da lontano.
L'uomo scese, aprì la portiera di Rose, poteva sentirla ridere da dove si trovava.

Si scambiarono qualche parola, che Roger indovinò: "Grazie della splendida serata...figurati...pensi che potrei salire per un drink...non penso sia il caso...ma ti rivedrò...certo, sciocco...baci baci".

"Stupida, stupida RosRosina, questa volta avresti fatto meglio a far salire questo uomo galante, che sta cercando di infilarsi nel letto con te. Perché lui si sarebbe fermato se tu lo avessi chiesto.
Io no."

Uscì di fretta dall'auto, con la borsa a tracolla, un cappello da baseball calato sugli occhi. Sembrava un passante affrettato alla ricerca di un taxi.
Attraversò la strada, portandosi sul lato dell'abitazione di Rose, proprio mentre il manzo metteva in moto la sua bella auto sportiva e sgommava per andarsene. Orgoglio maschile ferito.

Rose stava aprendo il portone, in cima a quattro scalini di granito. Roger attese che avesse girato la chiave, prima di balzarle alle spalle.
"Mike, che scherzi del cazz..."
Non riuscì a completare la frase, lo straccio imbevuto di cloroformio vinse ogni resistenza.
Spingendo con il piede sull'uscio trascinò il corpo all'interno, la adagiò sul tappeto dell'entrata e chiuse la porta a chiave.
L'appartamento era semi vuoto, scatoloni ovunque. Quasi nessun mobile. Probabilmente Rose si era appena trasferita qui.
Perfetto, nessun vicino premuroso che controlla o bussa nel cuore della notte.

"A noi due RosRosina"


Due giorni dopo era in auto, davanti alla stazione di Waxridge, in attesa.
Quando l'ora di punta era passata da un pezzo, si diresse alle cassette di sicurezza.
I soldi erano lì, e tutte le polaroid di Rose erano sparite. Rimpianse di non averne tenuta una per ricordo.

Così era cominciato tutto, e il suo lavoro aveva attratto le menti più deboli e deviate di tutta la rete.
Ora aveva un sistema più sicuro per accettare gli incarichi; un sito porno fasullo, regolarmente registrato, realizzato con filmati riciclati da altri siti sconosciuti. Niente di che, una semplice copertura, pornografia classica, neppure l'ombra di sesso estremo. Lui figurava come un ardito pony express che consegnava pizze a domicilio ad avvenenti casalinghe frustrate. Ma cliccando su una delle borchie che decoravano il banner si apriva un forum riservato, al quale si poteva accedere solo previa registrazione. Ed era lì che lui sondava il terreno, come un grosso ragno in attesa delle prede, rintanato nell'angolo più scuro.


L'aeroporto era l'ultimo incarico, aveva deciso di piantarla per un po', per far sbollire l'attenzione dell'opinione pubblica.
È vero, in città c'erano sempre stati furti, omicidi e stupri, ma da quando era entrato in attività la polizia aveva cominciato a sospettare che ci fosse un collegamento tra i suoi lavoretti.

Inoltre aveva messo da parte un bel po' di soldi, voleva partire per l'America Latina, stabilirsi in un villaggio poverissimo, dove con i suoi guadagni avrebbe potuto corrompere la polizia locale con qualche cospicua donazione, in modo da mettere a tacere eventuali sospetti scomodi sul suo passatempo.
Aveva un debole per le ragazze latine.

Quindi eccolo qui, nel bagno dell'aeroporto di San Fernando, pronto a decollare verso la sua nuova vita.
È andato tutto a meraviglia, è stata persino un'ottima scopata anche se stavolta per timore di essere scoperto aveva esagerato un po' con il narcotico.
La stronza avrebbe dormito fino al giorno dopo.

- Final boarding call, final boarding call for passenger Mr. Roger Forster, booked on flight 372A to Managua. Please proceed to gate 7 immediately. I repeat...

"Arrivo, arrivo, vale la pena aspettarmi ve l'assicuro..."
Uscì di fretta, accelerando il passo.
"Dannati paesi sottosviluppati, un solo bagno in comune, selvaggi..."

Una coppia di poliziotti incrociò il suo sguardo; era abbastanza raro incontrare qualcuno con il suo aspetto a quella latitudine, sperò che non gli facessero alcuna domanda. Abbozzò un sorriso e tirò dritto.
Trattenne il fiato, mentre sentiva i due parlottare a mezza voce nel loro idioma incomprensibile.

Uno di loro scoppiò a ridere, e la tensione gli scivolò via dalle spalle.
Così non si girò a guardare il poliziotto mentre finiva la sua birra, dirigendosi verso la toilette.

Davanti a lui c'erano solo due persone, era quasi arrivato al cancello d'imbarco, sentiva già il sole che lo aspettava, un margarita daiquiri e un intero villaggio di donne indifese e polizia compiacente.

"HOMBRE!!! HOMBRE!!!"

Si voltò. Uno dei due ufficiali stava camminando a passo spedito verso di lui.

"È finita, l'hanno trovata, sono fottuto, è finita, merda merda."
Le gambe gli divennero di gesso, era incapace di continuare a camminare, semplicemente fissava la guardia con un'espressione assente, come se avessero staccato la spina del suo cervello.
Attendeva la fine.

"Hombre! Pardoname.."
il poliziotto parlò in un inglese stentato.

"Tu eres, tu è Roger?"
"Sì, Roger Forster, perchè?"
La voce sembrava uscire dagli altoparlanti anziché dalla sua bocca.

"Tu è quel Roger? M.I.L.F. Hot Pizza?"
Il poliziotto mimò un gesto sconcio, poi indicò la Polaroid al collo di Roger.
"Puede una foto con tigo? Tuo sito es muy bieno, mucho gusto, molte belle ...topone!!!"
Scoppiò a ridere gettando una zaffata di alcool e fumo stantio verso di lui.

Roger non si scompose, poggiò a terra la valigia, impugnò la macchina fotografica e si lasciò stringere in un abbraccio dal poliziotto che continuava a sorridere esageratamente.

"Muchas gracias senor, lei è bravo, continua con le pizze!!!"

Roger strinse la mano dell'ufficiale, poi raccolse la valigia e raggiunse il gate.

La hostess aveva visto la scena, lo guardò sospettosa, poi gli chiese:
"Signor Forster? Lei è famoso? Dovrei conoscerla?"

Lui sorrise appena, guardando la scollatura imperlata di sudore:
"Forse sì, forse no..."

Sorseggiando il suo drink, distese le gambe mentre le grandi ali nere deturpavano il nitore del cielo estivo.


venerdì 21 maggio 2010

Dalle Alpi ad Herat




















C'è del marcio in Danimarca.

L'Italia non è da meno; ci sono persino le carogne.
E gli avvoltoi.

Avendo sconfitto da tempo il senso del pudore, dell'indignazione e della decenza, ci è possibile
tollerare e perpetrare ogni nefandezza.
Una delle peggiori è la strumentalizzazione della morte.
Mi riferisco ad esequie spettacolari come quelle di Vianello, con un satrapo sorridente che incita la folla.
Vilipendio di cadavere a scopo promozionale.

Ma anche ai funerali di stato di Ramadù e Pascazio; bandiera politica per gli oppositori del conflitto, potente catalizzatore di commozione per la maggioranza.
In verità l'identità dei due soldati uccisi importa solo ai loro congiunti e amici.
Chi davvero sia chiuso in quelle bare è ininfluente per le dinamiche mass mediatiche; ciò che conta è potersene servire come un pungolo.

La dimensione della morte ha perso il suo peso specifico; si muore davvero solo se si passa sotto la lente di ingrandimento televisiva.
Morire dovrebbe essere un fatto privato, ultimamente intimo. Ma a questo abbiamo rinunciato molto tempo fa.
In una società dove l'individuo non incide, siamo tentati di servirci della morte come una spettacolare conclusione, che possa dare un senso ad una peregrinazione anonima.
Un suicida che si getta sotto i vagoni della metropolitana riesce a modificare il tempo di innumerevoli vite, ha un impatto inatteso sulle esistenze dei perfetti sconosciuti che non avendo mai fatto i conti con la sua esistenza, dovranno necessariamente farli con la sua scomparsa.
Ci pensate?
Centinaia di persone che deviano il loro percorso, i loro ritmi, in modo impercettibile ma significativo.
Compagni di scuola perduti di vista da decenni, pigiati improvvisamente nello stesso autobus; si ritrovano, discutono, ridono.
Amori finiti e accuratamente evitati per anni, si intrecciano involontariamente a causa di questi piccoli cambi di routine.

Oggi si annuncia il proprio suicidio su Facebook; un telematico, mondiale grido d'aiuto e di richiesta d'attenzione.
La lettera sul tavolo della cucina non va più di moda.

In questo mercimonio continuo l'ultima possibilità è rappresentata dall'utilizzo della nostra dipartita.
E' quello che hanno fatto i due alpini uccisi.
Ogni scelta comporta una percentuale di rischio, in alcuni casi questo rischio è accettabile, altre volte supera di gran lunga il valore della scelta stessa.
I due ragazzi uccisi hanno perduto la loro scommessa, ma a pagarne lo scotto saranno le vite dei loro cari, modificate per sempre.
è utopico immaginare un mondo senza simili uccisioni, senza la necessità di prevaricare gli altri, ma finchè non lo otterremo, nulla cambierà.
E mentre i congiunti devastati dal dolore piangeranno le morti di giovani inconsapevoli spesi su un fronte lontano, i governanti monetizzeranno utilizzando facce contrite d'ordinanza.



venerdì 14 maggio 2010

CARAVANSERRAGLIO



















Mi rendo conto di quanto sia difficile vivere in una comunità.
Piccola o grande che sia.
Penso non dipenda solo dalle mie tendenze anarcoidi/borderline/antisociali, credo sia una responsabilità condivisa.

Sto aspettando.
Il motivo principale per qui ho aperto questo blog si rivela profetico;
focolai di rivolta avvampano nel Mediterraneo; purtroppo le nostre italiche coscienze sono ignifughe da tempo.
Il resto dell'Europa si ribella mentre noi mangiamo cornetti e cappuccino.
Bel Paese...

Io stesso sono anestetizzato per la maggior parte del tempo, ridotto ad una frazione minima delle mie potenzialità.
Come tutti noi.
Quand'è stata l'ultima volta che vi siete sentiti presenti a voi stessi.
Intendo davvero centrati e pronti ad agire, anzi agenti?

Questo ci stanno facendo, defraudandoci della lucidità.
Social network e giochi on line ci tengono occupati mentre siamo negli uffici, solariumpiscinapalestratatù fanno il resto nel nostro tempo libero.
Che, per inciso, non è più "nostro".


Anche l'intensità è venuta meno, i nostri rapporti umani sono sempre più blandi, sempre più standardizzati.
I used to get shivers speaking to some friends, could you recall such sensation?
I can't.

Siamo pecore destinate al macello, e non forniamo neppure lana di qualità.

Posso ravvisare un superno principio in questa tragica società, niente di nuovo o particolarmente arguto, ma sempre efficace:


Stato di bisogno = Prona accettazione dei soprusi

Nella sua forma più evoluta;

Creazione di finti bisogni = Spinta al consumo acritico.

Nonostante tutto continuo a cercare qualcuno che si distingua, che si indigni.
Non me ne faccio nulla della manifestazioni addomesticate permeate di un dissenso superficiale.
Non mi frega nulla di BerluScajoFormiNani. Davvero. Dove sono le proposte alternative concrete?
Ho bisogno di azione, di piccoli tangibili cambiamenti.
Dove sono le idee?

Vi do qualcuna delle mie, nel frattempo;
ognuno di noi ha una passione, un'attività che lo rapisce più di ogni altra cosa.
Ma la maggior parte del tempo questa passione è talmente sacrificata da essere ininfluente nella quotidianità.


CARAVANSERRAGLIO


Vorrei impare dalle vostre passioni; da oggi questo spazio è per voi che sapete fare così tante cose, che ancora non so.
Io ad esempio vorrei imparare a cucirmi un paio di scarpe da solo.

Origami? Bene!
Accorciare un paio di pantaloni? Perfetto.
Scrivere haiku? Quello che ci voleva.
Cucinare la parmigiana? Non aspetto altro.

Ogni sapere è fondamentale, serve a rimettere in moto il piacere di condividere.

L'unico vincolo è che deve essere qualcosa fatto da voi, che voi avete realizzato e che volete/potete spiegare e condividere.
Non so che farmene del copia e incolla preso dalla rete. Voglio le vostre teste.

Comincio io...


COME INVENTARE UN GIOCO


Non sono un giocatore d'azzardo, ma sono un giocatore professionista. Gioco da sempre. Da quando sono stato in grado di capire delle regole.
O di inventarne di nuove.

Sebbene io sia principalmente interessato ai giochi di carte, ho una discreta esperienza come creatore di giochi in genere.

Quindi vi lascio qualche semplice dritta per una buona riuscita nella vostra creazione, che si tratti di una caccia al tesoro o di un gioco erotico...
ora che ci penso questi due casi spesso sono identici...

1) Ambientazione: fondamentale. La fantasia è potente, ma più la aiutiamo e meglio riuscirà il nostro gioco. Decidete quale deve essere l'atmosfera dominante; fantasy, horror, avventurosa, urbana, gotica ecc.
(se ci pensate è la stessa cosa che fanno i bambini quando dicono "Facciamo che io sono il mago e tu il guerriero...")
Nel caso di un gioco fisico (all'aperto ad esempio), concentratevi sui dettagli: abbigliamento e costumi, pochi significativi impianti scenografici, musica scelta appositamente, bevande e cibi a tema.

2) Vittoria: sembra sciocco, ma la cosa principale è decidere in che modo far terminare il gioco; punteggio, raggiungimento di un obiettivo, morte dei partecipanti..whatever.

3) Svolgimento: qui potete e dovete sbizzarrirvi. La cosa importante è capire i gusti delle persone alle quali è rivolto il gioco; sono adulti, bambini, adolescenti?
Inoltre concentratevi sulle vostre reali possibilità: è inutile immaginare una caccia al tesoro in stile Mai Dire Banzai se la festa è in un ospizio. A meno che non siate molto sadici.
Quindi centrate le passioni dei vostri interlocutori. Sport? Cinema? Sesso? Una volta stabilito in maniera abbastanza chiara quale sia l'argomento di interesse, iniziate a pensare alle dinamiche ludiche.
Molto spesso i grandi classici si prestano a facili e proficue rivisitazioni: palla avvelenata può diventare "Attacco al Fosso di Helm" con qualche semplice modifica.
Prima di spendere ore in nuovi arzigogolati e malvagi piani, considerate tutte le opzioni più facili e diffuse, e spesso già molto divertenti di per sè.
Se state creando un gioco da tavolo, pensate alla fascia d'età; i potenziali giocatori sono abituati ad utilizzare dadi, segnalini, mappe? Sono dei nerd fanatici feticisti delle specifiche o sanno a malapena contare fino a 5?

Considerate come buona norma quella di stilare un regolamento di massima; i giocatori devono raggiungere lo scopo A, affrontando le prove B, C, D che si sviluppano come segue, ecc.
Cercate di essere chiari e concisi; potrete arricchire ed impreziosire il tutto in qualunque momento.

Ricordate che la cosa più importante è far divertire!
A nessuno può interessare un raffinatissimo gioco a tappe sulle malattie veneree, in grado di essere compreso solo da Rita Levi Montalcini.
Verificate costantemente il gradimento, se notate un calo dell'interesse siate reattivi, modificate, improvvisate, eliminate.
Provate a non fossilizzarvi sulle vostre posizioni; se qualcuno propone dei cambiamenti, valutateli seriamente ed eventualmente implementateli.

Ci siamo quasi.
La nota finale è riservata ai temerari che stanno ancora leggendo: molto spesso il divertimento maggiore è quello ricavato dalla preparazione, o dallo svolgimento in sè, non sempre è necessario concludere il tutto con una vittoria.

As usual, una piccola provocazione: perchè non provare a dedicarsi all'inventiva anche con le persone? Provate a realizzare una sorpresa per qualcuno a cui tenete, un gesto inatteso, un oggetto fatto da voi.
Tutti desideriamo stupirci.
Io ne ho davvero tanto bisogno.


martedì 13 aprile 2010

Io sono leggenda

Sconfitta = omologazione.
In questo nostro sistema di pensiero si evince che l'unica possibilità è accettare lo status quo, per dirla con i Borg: "Resistance is futile".

Nel 1954 un distinto signore di nome Richard Matheson scrisse un libro horror/fantascientifico, intitolato "I am Legend".
Tramite un impianto stilistico originale e solido, Matheson esprime una verità fondamentale sulla società intera; l'impossibilità del singolo di vincere contro la comunità.

In questi giorni si scorgono barlumi di rivolta, in posti lontani ed esotici; Bangkok, Kirghizistan.
Sollevazioni che confermano come sia improbabile modificare l'ordine costituito senza violenza e sangue.

Eppure l'alternativa, il progressivo adattarsi alle privazioni, alle angherie quotidiane, appare persino peggiore.

Shakespeare disse a ragion veduta:

"And thus the native hue of resolution
Is sicklied o'er with the pale cast of thought..."


Ma è proprio questo che vedo, giorno dopo giorno: la supina accettazione di ogni tipo di broglio, offesa, malefatta.
Tutte le labbra ripetono la stessa litania: "Ma sì, dai..."
Abbiamo perso la capacità di indignarci. Il nostro è un malcontento da prima colazione, da free press. Un desiderio di cambiamento che si esaurisce
con un taglio di capelli o lo spostamento del divano: ecco quanto di nuovo vogliamo nel nostro quotidiano.

Cosa può fare un singolo individuo?
Molte cose.
Alcune più sbagliate di altre; farsi esplodere in una metropolitana, salire su di una gru minacciando il suicidio, dipingere un quadro, scrivere una poesia.
Vi chiedo: "Cosa deve succedere perchè il nostro contegno cambi?"

Non riusciamo a notare quanto subdola e progressiva sia la lobotomizzazione in corso perchè, mentre ci tolgono qualcosa, riempiono il vuoto con dei lustrini.
Nessuno, e dico nessuno, ha rispetto per le opinioni della gente, siamo merce avariata da spartire in quarti nella mattanza mediatica.
Siamo numeri da moltiplicare, dividere, ingigantire o minimizzare secondo le necessità momentanee.
La gente cosa fa? Nulla.

Nulla.

"Ora sono io l'anormale. La normalità è un concetto di maggioranza, la norma di molti, e non la norma di uno solo" R. Matheson


domenica 14 marzo 2010

Le cose che aspettano

Vivo in un piccolo appartamento, ho una sola finestra. Chiusa.
Pochi giorni dopo essermi trasferito qui, si sono fulminate le due lampadine principali.
Da allora illumino le mie giornate con l'abat-jour.
Così non ho mai davvero la percezione dell'ora, del giorno, della notte: una penombra avvolge la quasi totalità delle mie ore di veglia.
Con questa luce gli oggetti sembrano diversi, voglio dire, sembrano più vecchi di me e della casa stessa. Come se aspettassero da molti anni un episodio, qualcosa che deve accadere. O che è già accaduto.
Le cose non hanno alcuna fretta, non sono come noi, sanno aspettare il momento giusto.

Così mi sono chiesto se anche le idee sanno aspettare; sapete ne ho un baule colmo, c'è stato un momento in cui sembrava indispensabile esserne pieni, un vulcano ribollente di sciocchezze. Ora sono più tranquillo, ho capito che alcune di quelle vecchie idee facevano parte del corredo di un perfetto artista maledetto, proprio come uno strano cappello o la barba incolta.
Tra tutte le vecchie bizzarie, alcuni pensieri mi sono rimasti addosso, come casi non risolti.

MTL - Metrolibro


















Voglio un risarcimento per il nostro orizzonte visivo indebitamente occupato. Camminiamo ogni giorno per le vie di paesi e città che impongono alla nostra attenzione dozzine, a volte centinaia di ads e manifesti pubblicitari. In questo periodo a Milano è in corso la campagna elettorale: io trovo già difficile svegliarmi tutte le mattine per recarmi al lavoro, ma ricevere il buongiorno da Pezzottapenatiformigonilarussa è davvero un affronto alla serenità.

Lavoro con le richieste delle famiglie: studenti che non possono frequentare, famiglie in difficoltà incapaci di acquistare i testi scolastici.

Una volta lavoravo anche con l'arte, che solitamente si considera svincolata da qualunque fine utilitaristico.
Il piano è questo, ottenere spazi pubblicitari tramite concorsi artistici/fondazioni/donazioni, rivenderli alle agenzie in cambio di un risarcimento in libri.
Ho inventato l'unità di misura MTL (metrolibro), un metro quadrato = 10 libri di testo.
Una volta misurate le superfici a disposizione, si ricava il valore MTL totale, cioè quanti libri vale quello spazio. Si offre poi a varie ditte pubblicitarie, specificando che il loro unico onere finanziario per lo sfruttamento di tali spazi è la fornitura di libri richiesta.
L'indice dei libri da acquistare è quello richiesto dagli istituti scolastici della zona in cui si trova la parete da occupare. Per ogni giorno di occupazione della parete, verrà richiesto il Canone MTL (cioè la fornitura di libri richiesta).
I libri verranno distribuiti alle famiglie, partendo da quelle con il maggior numero di figli frequentanti e il reddito più basso.
Fine.

Ora, io so che queste pagine sono lette solo da pochi amici, ma non si sa mai: se ci fosse qualcuno che possiede una facciata che possa in qualche misura fare gola a dei pubblicitari, si faccia vivo.
Lo farei io, ma non ho mai avuto una parete.


lunedì 8 marzo 2010

Sulle cose non dette



















8 marzo, festa delle donne.
Ormai il blog sembra una specie di calendario; un nuovo post ad ogni ricorrenza popolare.
Solitamente tendo ad essere polemico e sferzante nei confronti delle consuetudini, in particolar modo riguardo
a quelle palesemente strumentalizzate.
Però questa sera sono melanconico, quindi vi risparmierò la consueta dose di acume in favore di qualche lacerto
sentimentale.

Non riesco a fare a meno di voi, splendide fautrici di destini, divoratrici di mondi e protettrici della vita; vi giuro che
ho provato a capire, con ogni singola fibra del mio essere. Proteso in osservazione, teso nell'ascolto della vostra natura. Eppure la verità resta sempre in un angolo scuro, come un passante intravisto con la coda dell'occhio.

Attrazione ed ingiustizia, comprensione e spietata divergenza; siamo condannati all'idolatria.
Così ancora una volta mi accosto con reverenza ad un mistero che è troppo grande per me, troppo per chiunque.
Noi piccoli ed inadatti, dotati di troppo raziocinio e di una sensibilità ingombrante, possiamo solo alzare lo sguardo verso la Donna, la Madre, la Puttana, la Sposa.

A volte penso che siano loro a sognare di noi, come il Duca sogna di Cidrolin; dei segnali per dare senso alla finitezza del mondo. Se è così, è davvero un bel sogno.


domenica 14 febbraio 2010

...della stessa medicina, ovvero my take on love



















Quando ho aperto questo blog mi sono detto che non avrei mai ceduto alla tentazione di postare fatti personali con la pretesa che fossero di comune interesse. Forse anche per questo i post sono centellinati…

Però oggi è San Valentino, festa dell’amore confezionato, pronto per il consumo.
Così proverò dopo molto tempo a mettere in parole dei fatti che si dipanano chiari nella mente, ma che spesso sfuggono a qualsivoglia forma di controllo.

Posso attingere solo ad esperienze personali, quindi inevitabilmente non ho pretese di oggettività, e se il tono o i contenuti vi indispongono…bhè, peggio per voi.

Cercando di circoscrivere il tema dell’affezione tra esseri umani mi sovvengono alcune categorizzazioni, entro le quali farò rientrare la maggioranza degli amanti, per praticità.


Quelli innamorati di sé stessi: gran brutta faccenda, le persone che stazionano in questa categoria non ne usciranno mai, cercano le relazioni per potersi glorificare, per sentirsi insostituibili e necessari. Raramente si affiancano a chi può offrire un vero confronto o un’occasione di crescita; preferiscono rapporti sbilanciati e facilmente gestibili, da poter troncare in caso di minaccia alla propria integrità.

Quelli innamorati dell’amore: sono coloro che adorano provare sentimenti, sono rapiti dall’intensità, dalla passione e spesso la persona che hanno accanto è semplicemente un simulacro, un tramite attraverso il quale rendere il proprio omaggio all’amore stesso.

C’è sempre una speranza per costoro; presto o tardi passeranno in una delle categorie successive e sarà l’amore ad avere i lineamenti della persona amata.


Quelli innamorati davvero: i fortunati, non sono pochi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. Sono pieni di energia, di estro e slancio emotivo, a seconda delle inclinazioni personali possono indulgere nell’auto annullamento, nell’idolatria, a volte persino nell’equilibrio. Sono senza dubbio degni d’invidia poiché sperimentano la pienezza di un sentimento che ribadisce l’urgenza della vita; i più pronti d’intelletto potranno persino riconoscere una nobilitazione profonda dell’individuo. L’unico vero difetto (o pregio) di questa categoria è l’essere inevitabilmente destinata alla caducità.


Quelli che amarono: il vero punto della questione, qui finiscono tutti coloro che hanno abitato a vario titolo i gironi precedenti. La deriva delle anime, un porto affollato e in continua crescita dove molti approdano e da dove ripartono in pochi. Storie finite male, amori mai sbocciati, delusioni e tradimenti, i fardelli che giungono qui sono disparati ma recano tutti la stessa disillusa dicitura: è finita. A seconda della categoria di provenienza, le reazioni si diversificano, ma ciò che le accomuna tutte è la perdita di spontaneità: mai più il fuoco brucerà istantaneamente, come un incendio estivo. Tutti quelli che hanno amato lo sanno; quella verità è perduta ormai. Si potrà solo cercare di ricreare per approssimazione un risultato paragonabile, ma ogni volta saranno necessari artifici maggiori. Chi ha più energia e ottimismo otterrà risultati apprezzabili e riuscirà a salpare in fretta da questo ostello sventurato. Molti, quasi tutti, rimarranno impastoiati, costretti dalla bonaccia a piccole sortite vicino alla costa, intimoriti dai minacciosi scogli che sporgono ormai dentro di loro.
Queste considerazioni presuppongono che si incontri l’amore solo una volta; è così. Intendo dire che il nostro primo incontro con l’Amore rappresenta la perdita dell’innocenza, mai più potremo dire di non sapere, non conoscere, non provare.

Quindi dopo lunghe riflessioni sono giunto alla conclusione che spettinerà Siddartha e il Dalai Lama, per non parlare dei Beatles superstiti: all you need is love.

Ma come? Il dolore che sempre accompagna chi ama viene da poche cose, ma chiare e definite: la menzogna e il desiderio di possesso.

Badate bene, non siamo direttamente responsabili di questo giogo; anni di educazione e censura hanno prodotto risultati quasi incontrovertibili; siamo portati a pensare che sia impossibile amare senza possedere. A questo punto mentire diviene inevitabile; coprire i nostri reali bisogni con le bugie è più rapido che affrontarli insieme; ma questo genera, nel migliore dei casi, uno spaventoso senso di colpa che inizia a soffocare la relazione, segnandone la fine.

Tendiamo a controllare, a imbavagliare la persona amata perché non possa guardare oltre noi. Vogliamo limitare le possibilità di scelta perché rimanere al nostro fianco sembri sempre la cosa migliore: a volte non è affatto così.
Credo che amare qualcuno significhi anche vedere ciò che può essere in potenza; percepire le grandiose cose che gli sono possibili, e saper riconoscere che potrebbero portarlo lontano da noi. Questa è la parte difficile; rinunciare al possesso, lasciar andare. Vi assicuro che è una lotta vera, e si perde quasi sempre. Quello che aiuta è sapere che ogni rapporto è assolutamente unico, peculiare ed irripetibile; non andrà mai perduto davvero.

Perché limitarsi in questa breve e fragile occasione che è la vita? Inchiodare gli anni altrui alla nostra esistenza per evitare di camminare soli è terribilmente umano, ma vile.

Menzogne e bugie sono veleni che compromettono ogni rapporto; ci hanno insegnato che non è normale desiderare altri uomini, altre donne, che è sbagliato provare emozioni verso qualcuno che non sia il nostro partner. Perché? Dio mio, in base a cosa? Quale diabolico dogma ha deciso che il nostro splendido spirito sia costretto ad abitare un carapace autolimitato?
Se potessimo sradicare la mal erba che ci attanaglia vedremmo che si può dire tutto. Davvero. La verità è come il sasso lasciato cadere nello stagno; le increspatore si espandono in ogni direzione ed i suoi frutti non si possono nascondere.
Siamo troppo limitati per lasciare che accada, dobbiamo chiudere ogni cosa in un contenitore, possibilmente con un’etichetta che indichi il contenuto a chiare lettere, magari il prezzo.

Molti in passato hanno svelato la menzogna; poeti, musicisti, uomini e donne che hanno creduto alla vita prima che alle parole. Dove sono ora? Ne avremmo un gran bisogno. Ne avrei un gran bisogno.

Ma i meccanismi che ci regolano quotidianamente non hanno sedi né ingranaggi per la poesia e l’emozione. A meno che non si possa riprodurre.
Le voci diverse, benedette schegge impazzite destinate ad essere recluse, isolate, o peggio, ignorate.

Quanto amore sprecato.

Come sempre nei miei post, vi lascio una piccola provocazione: scoprite di che cosa ha bisogno la persona che vi sta accanto, e fatelo. Vi prometto che non sarà difficile; dovete solo guardare, ascoltare davvero. Un bacio, una carezza, un abbraccio. Superate il vostro istinto di protezione, quello che vi dice: “che diavolo sto facendo”, avvicinatevi e regalatevi questa possibilità. Funziona. Ed è difficile tornare indietro, dopo.

Ho finito, me ne torno negli anni ’70…hippie del cazzo.